Fa discutere l’utilizzo dell’ayahuasca in Italia, sostanza che in Sudamerica fa parte della cultura e della storia locale e che nel Belpaese è stata invece vietata. Capiamo meglio di cosa si tratta e qual è la sua relazione con i culti religiosi
Se scriviamo la parola “ayahuasca” forse non tutti sapranno a cosa ci stiamo riferendo, eppure questo termine è entrato a far parte a suo modo dell’attualità italiana.
Parliamo nel dettaglio di una sostanza usata in alcuni riti compiuti da diverse popolazioni dell’Amazzonia e che nello Stivale è stata inserita nell’elenco delle sostanze vietate dal Ministero della Salute italiano nel febbraio del 2022.
Ma cosa ha a che fare tale sostanza sudamericana con il Belpaese e perché il suo utilizzo fa discutere? Proviamo a fare chiarezza.
L’ayahuasca (o anahuasca, ndr) è una bevanda tradizionale – o forse sarebbe meglio dire decotto – tipico di alcune popolazioni indigene del Sudamerica e dalle proprietà sia allucinogene che curative (purganti, ndr).
Si tratta di una sostanza utilizzata da almeno 2.500 anni dai popoli che vivono nel bacino del Rio delle Amazzoni e che in Perù è stata dichiarata addirittura un patrimonio culturale.
Viene preparata miscelando diverse piante, quali le parti lignificate di Banisteriopsis caapi (conosciuto anche come ayahuasca o yagè, ndr) e le foglie di Psychotria viridis o chacruna.
L’unione di questi elementi naturali dà vita proprio alla ayahuasca, una bevanda a cui sono attribuiti svariati poteri magici, dagli effetti psicotropi.
Il suo utilizzo è particolarmente diffuso in Paesi quali il Perù, il Venezuela, la Colombia, la Bolivia, l’Ecuador e il Brasile, dove viene preparata soprattutto durante le cerimonie religiose o per perseguire degli scopi terapeutici.
Va detto che questo decotto è giunto fino in Europa, dove ha iniziato a farsi conoscere negli anni Novanta del Novecento, e più recentemente ha raggiunto persino l’Italia.
Qui l’ayahuasca è stata però inserita nell’elenco delle sostanze stupefacenti e psicotrope, venendo quindi bollata come illegale.
La vendita e l’utilizzo delle piante di ayahuasca nel Belpaese è quindi contro la legge.
Nel corso degli ultimi anni questa sostanza ha iniziato a essere assunta da migliaia di persone in Italia durante alcuni riti religiosi, sollevando però non poche preoccupazioni.
Secondo diversi studi effettuati, il consumo prolungato di questa bevanda può avere effetti significativi in chi la assume, rendendo imprevedibile e potenzialmente pericoloso il suo comportamento.
L’ayahuasca agisce sul sistema nervoso centrale, alterando lo stato di coscienza anche per parecchie ore (molto dipende dalla dose assunta, ndr) e provocando, in alcuni casi, allucinazioni, euforia, paura, ansia e paranoia.
Un insieme di stati d’animo differenti descritti come esperienze extracorporee.
È proprio per questo motivo che l’ayahuasca viene utilizzata nel corso di alcuni riti religiosi, durante i quali si cerca di stimolare delle esperienze ultraterrene nei credenti.
Una pratica che, come anticipato in precedenza, si è radicata anche in Italia, sebbene oggi tutto ciò sia illegale.
Una decisione che ha così reso impossibile il sacramento per due culti religiosi differenti.
Come raccontato dal Corriere della Sera, la Chiesa Italiana del Culto Eclettico della Fluente Luce Universale (con sede in provincia di Reggio Emilia, ndr) e il Centro Espírita Beneficente União do Vegetal in Italia (con sede a Milano, ndr) hanno deciso di fare ricorso al bando espresso dal Ministero della Salute, ottenendo però una risposta negativa dal Consiglio di Stato.
I due culti considerano l’ayahuasca la bevanda sacramentale Santo Daime, in quanto manifestazione del sangue di Gesù Cristo e, per questo, i fedeli vorrebbero poter continuare a berla.
Per loro l’assunzione di tale decotto durante le proprie funzioni religiose è un rituale imprescindibile e che non può essere vietato.
Una presa di posizione sostenuta anche da alcune argomentazioni atte a dimostrare come l’ayahuasca sia sì una sostanza psicoattiva, ma le cui dosi generalmente ingerite non provocano alcuna tossicità organica o cerebrale.
Durante una funzione viene bevuto l’equivalente di una tazzina di caffè e dopo tre o quattro ore di digestione non resta più traccia dell’ayahuasca in corpo.
Un’argomentazione che non ha però convinto in alcun modo il Consiglio di Stato, che ha respinto i ricorsi e confermato l’inutilizzabilità dell’ayahuasca.
Una vicenda che fa discutere e che continuerà a farlo, dal momento che le due confessioni religiose sono pronte a iniziare una nuova battaglia legale, chiedendo “un’eccezione per uso controllato”, così da poter soddisfare le richieste dei propri fedeli.
Non resta che vedere quale sarà l’evolversi di questa disputa e se l’ayahuasca resterà a tutti gli effetti una sostanza illegale in Italia o meno.
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