Ripassiamo l’importantissima Legge Scelba sulla proibizione della ricostruzione del partito fascista del 1952
Il reato di apologia del fascismo non è contemplato nel codice penale italiano, ma è stato introdotto dalla Legge Scelba del 1952.
Questa legge prende il nome da Mario Scelba, ministro dell’Interno dell’epoca, e si concentra sulla proibizione della ricostruzione del partito fascista, come richiesto dalla XII disposizione finale della Costituzione italiana.
La legge Scelba, declinata in diversi articoli, vieta le attività considerate antidemocratiche proprie del partito fascista, come l’uso della violenza per fini politici, la soppressione delle libertà costituzionali o la propaganda razzista.
Precisamente la Legge Scelba è composta da dieci articoli, il primo dei quali spiega che si può considerare una “ricostruzione” del partito fascista quando si viene a verificare:
«[…] una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista»
In particolare, l’articolo 4 della Legge Scelba introduce il reato di apologia del fascismo (cioè letteralmente la difesa, a parole o scritta, del regime fascista). È perseguibile di apologia di fascismo chiunque «esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche», punendo chi lo fa con una pena che può arrivare fino a due anni di reclusione.
Quindi, almeno in teoria, la legge Scelba considera quindi reato anche soltanto parlare bene del fascismo: in base alla semplice lettura del testo dell’articolo 4 sembrerebbe insomma che gridare «Viva il fascismo!» possa di per sé essere considerato un reato. Diverse sentenze della Cassazione hanno però ridotto di molto gli ambiti in cui applicare le disposizioni della legge Scelba.
Negli anni immediatamente successivi alla sua approvazione la legge fu utilizzata contro diversi esponenti del Movimento Sociale Italiano, il partito politico fondato nel 1946 da un gruppo di reduci del regime fascista. Nessuno di loro era accusato di cercare di ricostruire il partito fascista, in base all’articolo 1 della legge.
Erano però accusati di apologia del fascismo in base all’articolo 4. Gli imputati dissero che l’articolo 4 della legge era in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di espressione. Fu così che il tribunale di Torino, uno dei tre che si stavano occupando dei processi, chiese l’intervento della Corte Costituzionale.
Così è successo che, nel corso degli anni, le interpretazioni della legge Scelba siano state definite dalla Corte Costituzionale. La Corte ha precisato che non è reato difendere il fascismo a parole, a meno che ciò non sia collegato a un tentativo di ricostruire il partito fascista, vietato dalla Costituzione.
Pertanto, esibire simboli fascisti o fare riferimento al fascismo può essere lecito finché non ci sia un chiaro tentativo di riorganizzazione del partito fascista.
Questo fino a quando, nel 1993, è stata introdotta la Legge Mancino, volta a limitare la propaganda e l’esposizione di simboli fascisti.
Questa legge punisce coloro che diffondono idee basate sull’odio razziale o discriminano per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
La Legge Mancino è da sempre contestata dai movimenti di estrema destra e nel 2014 la Lega propose un referendum per abolirla. Come la legge Scelba, però, anche la Legge Mancino può essere considerata in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, che sancisce la libertà di espressione: per questo in realtà in Italia continua a rimanere possibile esibire simboli fascisti e nazisti.
In caso di denuncia, sono i giudici a decidere caso per caso se applicare la legge Scelba, la legge Mancino o se stabilire che l’episodio sia tutelato dall’articolo 21 sulla libertà di espressione.
In questi giorni si parla molto di apologia del fascismo a causa dell’immagine impressionante raccolta nella capitale: centinaia di braccia tese che si levano verso l’alto quando viene chiamato il “presente”.
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